LB5P_074_THINKING: EDUCARE A PENSARE

Per partecipare al concorso i progetti vanno inviati entro:

Progetto presentato da Francesca Rizzitano

Pensare rappresenta la facoltà umana per eccellenza e come tale costituisce il patrimonio individuale e sociale più prezioso, da sviluppare e potenziare lungo l’arco di tutta la vita. Saper pensare è importante per operare scelte e prendere decisioni, per risolvere problemi, ma soprattutto è fondamentale perché è attraverso questa capacità della mente umana che si è in grado di leggere la realtà. “Intus ligere” come dicevano i latini, leggere dentro, in profondità tutto ciò che sta intorno. In una società completamente alla servitù di Dio Denaro, imbevuta di materialità, consumismo, omologazione, e depauperata da valori fondanti, è  sempre più necessario trovare i mezzi per educare i bambini e i ragazzi a pensare, a reagire, a fare delle idee un proprio bagaglio personale,e dunque a captare i messaggi criptati o esplicitamente visibili che il mondo,mettendo davanti, intende imporre.

La capacità di pensare potrebbe essere la disciplina da impartire nelle scuole, perché con sempre più frequenza e vigore la societas entra nel sé andando a schiacciarlo e conformarlo all’interno di un progetto già ben predefinito. In questo senso sarebbe decisivo dare alle nuove generazioni un segnale di svolta dettato dalla  necessità di dare un diverso impulso alla soluzione costruttiva dei problemi dell’umanità. Questo è ciò che si deve restituire ai bambini e in questo, probabilmente, risiede la sfida di un’educazione alla libertà, non soltanto dall’ignoranza del non sapere pensare con la propria testa.

La scuola, dunque, deve, prima di tutto, insegnare a pensare. E per farlo imprescindibile è  imparare a leggere, a scrivere, ad amare la vita e il mondo senza che nessun tipo di principio o di valore venga inculcato. “Inculcare” significa “calcare dentro con il piede”, “introdurre a forza”. Non è , quindi, auspicabile un’educazione basata sull’introduzione forzata di idee e principi. Allo stesso modo non occorre indicare che cosa è bene e che cosa è male ma insegnare a vedere, a capire e a riflettere. Pensare farà in modo che gli studenti   non credano più nel sopruso, nella disonestà, nella malafede, nell’egoismo, come piani corredati da  un’etica di sano e di bello.  Sembra riduttivo riempire le teste di dati, attività che non avvalora ma che serve solo a chi vuole manipolare le menti e le vite secondo il proprio tornaconto. Dare le informazioni senza insegnare ad usarle equivale a fornire gli ingredienti senza insegnare a cucinarli.

 

Si vuole porre l’accento sull’idea finora esposta con l’introduzione di un interrogativo: “oggi si insegna a pensare? “. Se “pensare”, nel significato più autentico, significa “pensare con cura”, “ponderare”, si deve chiedere quanto spazio sia effettivamente riservato oggi a questo irrinunciabile esercizio della mente. La domanda diventa ancor più urgente se  si considera il fatto che i giovani si trovano a gestire una così vasta quantità di informazioni che rischia di dominarli. Come si impara a percepire più correttamente? Come si riorganizzano le informazioni? Come s’impara ad astrarre ed a controllare un procedimento mentale? Le varie ricerche dimostrano che non è automatico che le abilità di pensiero vengano apprese naturalmente. Esse richiedono un lunga, intenzionale cura del pensiero riflessivo.

Nella cultura contemporanea, perciò, si appalesa una sfida gigantesca, che riguarda la complessità del sapere e l’uso consapevole ed esperto dei processi di pensiero. Un problema, questo, non solo cognitivo, ma interconnesso con questioni etiche, di scelta e di utilizzazione delle conoscenze.

La fondamentale distinzione tra “conoscere” e “pensare” è stata chiaramente introdotta da Hannah Arendt: <<conoscere ha per oggetto le questioni scientifiche, mentre pensare è quell’attività della mente che ha per oggetto i problemi di significato, ossia le questioni rilevanti dell’esistenza>>. Non si tratta, quindi, solo di conoscere, ma di pensare con saggezza, riconsegnando il pensiero alla sua naturale funzione di “strumento di civiltà”, di nuova e continua “umanizzazione”. Tutti, perciò, dovrebbero sentirsi chiamati in causa ed essere consapevoli che se nelle comunità educative viene trascurata “l’arte di insegnare la vera intelligenza”, tutta l’intelligenza nelle sue molteplici risorse, i giovani rischiano di acquisire “l’abitudine alla stupidità”.

Si chiede inoltre, quale cultura  si intende promuovere e quale posto assegnare nei programmi di studio alle questioni di significato (sull’amicizia, sulla cooperazione, sul bene, sul male, sul dolore o sulla felicità…). A queste domande non ci sono risposte da dare a priori. Esse vanno cercate nel dialogo, tra pluralità di punti di vista e di significati, nello sforzo di fare sintesi e di dare senso non solo al pensare ma anche all’agire. Ed è qui che inizia la vera sfida del pensiero: spiegare la complessità dell’uomo, del reale, del pensiero stesso, adottando una prospettiva policentrica, valorizzando le diversità, i singoli elementi, integrandoli poi tra loro in una nuova, originale unità. Da questo punto di vista, l’attività del pensare può esser vista come uno schiudere gli occhi della mente,un processo riflessivo e meta-riflessivo della mente stessa, di distinzione e di unità, di scoperta del molteplice e dell’uno, in sé e oltre sé.

La domanda quindi “Perché pensare?” ha una risposta altrettanto ovvia e sconcertante quanto la domanda medesima: “Pensare per essere”. Il “pensare” deve caratterizzarsi come “essere”, non nel semplice significato di “esistente”, ma di colui che si interroga, viene fuori, esce, cammina. Comporta quindi la fatica del pensare, lo sforzo del concetto. E’ un “esodo”, che richiede di andare dall’ io all’altro da sé, nella ricerca e nella testimonianza della verità, di amore per il vero sapere.

Per apprendere, quindi, è necessario soprattutto “imparare ad apprendere”, ma apprendere con senso, cioè comprendere. E ciò non ha a che fare solo con i metodi di studio, ma anche con i processi di costruzione-decostruzione di schemi mentali, con il mondo delle emozioni e, soprattutto, con le scelte etiche verso cui orientare il pensiero stesso.

A questo riguardo, si ritiene  interessante soffermarsi su un aspetto del pensare che chiama in causa direttamente problemi e processi di ordine culturale e interculturale. Si tratta della cosiddetta “sfida della globalizzazione”.

Per poterla affrontare, una prima condizione è  comprendere che il cambiamento non riguarda solo “gli altri”, ma prima di tutto l’identità personale. In questa direzione, il sapersi decentrare dal  punto di vista egocentrico richiede di coltivare una visione policentrica, di purificarsi dalle manipolazioni, dalle superficiali generalizzazioni e di esser guidati solo da uno sguardo sincero per la verità.

Una seconda condizione per aprire la  mente è di liberarsi dalla presunzione della superiorità del pensiero individuale su quello degli altri. Troppo spesso, ancora, in famiglia, a scuola, nelle chiese, nelle nostre comunità, nella politica, viene rinforzato l’uso di questo modello.  Riesce difficile immaginare, pensare a modi diversi da schemi prestabiliti, a storie diverse dalla personale storia. Anche l’errore, perciò, è parte integrante del pensiero, quale inevitabile passaggio per lo sviluppo e l’educazione; non quindi punto finale di un processo di conoscenza, ma il suo culmine epistemologico.

La capacità di pensare, quindi, richiede l’interiorizzazione di processi mentali, che non sono frutto esclusivo di un’elaborazione individuale ma di un incontro, di un’interazione. Il compito dell’educatore, quindi, non è di uniformare, ma di ricondurre ad una sintesi originale i diversi punti di vista, stimolando le potenzialità, favorendo la partecipazione creativa.

Si propone, cioè, di pensare non solo alla realtà ma a tutta la realtà, applicando all’osservazione quel “principio di trascendenza” che permetta di andare oltre il “principio di evidenza”. Il pensare, quindi, non inteso solo come un’opzione logico-scientifica di verità, ma piuttosto come certezza dello spirito, e quindi come comprensione interiore. Essa non esclude affatto la ricerca e la spiegazione dei nessi causali, ma ne giustifica il significato entro un quadro di valore.

Educare a pensare rappresenta il filo conduttore di un itinerario educativo sistematico, pervasivo, che interessa tutti gli ambiti e i saperi della didattica.